In quell’incontro con Eugenio e con la moglie Nives, l’angoscia e la solitudine di Novella erano state vinte di schianto dall’aver percepito un’accoglienza gratuita.
“La invitai a dire le lodi con me e mia moglie. Cominciammo quel giorno stesso a mangiare insieme, a leggere insieme la scuola di comunità, a cantare, a fare lunghe conversazioni mentre lavavamo piatti e stoviglie“.
Nasce così una familiarità che fa intuire a Novella che “Eugenio e Nives erano il segno di Uno più grande: quella tenda diventava per me una casa […] in quell’accoglienza ho ritrovato la vita“.
Da questa esperienza, dall’incontro con il movimento di Comunione e Liberazione nasce in Novella l’intuizione della casa di accoglienza, proprio come frutto del “desiderio che la vita fosse riconoscente e che altri potessero fare lo stesso incontro […]” perché “la malattia vera dell’uomo è la solitudine, l’assenza di un volto che lo guardi con simpatia, il bisogno di ciascuno, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, è quello di un abbraccio, di un luogo che sia una casa accogliente: l’uomo ha bisogno di gratuità“.
È seguito, poi, l’intervento di Adele Tellarini che, dopo la morte di Novella, avvenuta in seguito ad un incidente stradale, ha assunto la responsabilità della casa. Ha ricordato il loro forte legame di amicizia e come l’incontro tra loro sia “nato dalla domanda comune a capire cosa c’entrasse Cristo con il nostro lavoro nel sociale. È stata, insieme, una compagnia ad andare a Cristo, una costruzione delle nostre persone e delle realtà che incontravamo. E questo tipo di amicizia può accadere a tutti e sostiene nello stare con verità di fronte alle cose ed alle persone che si incontrano. La stessa capacità di amicizia è stata sostenuta da una compagnia: è un’appartenenza che ti genera”.
“Novella aveva poi la coscienza che la casa, che aveva fatto lei, non era sua ma era di Gesù; parlava di un noi. La consapevolezza di questo era sempre presente. Un’altra caratteristica di Novella era la sua apertura alla realtà, la curiosità, la voglia di imparare dall’altro, di paragonarsi; senza gli altri – diceva – non si fa nulla. Per questo stanno nascendo anche nuove case di accoglienza. Si tratta di credere nel cuore dell’uomo e che il bene cambia“.